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Charlie🎖 Dispaccio #01 – È ancora un autunno atomico

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Indice del pezzo

La frase più allarmante della settimana probabilmente è stata quella di Papa Francesco: «Ho paura di una guerra nucleare, siamo al limite». Detta ai giornalisti mentre era in volo verso il Cile, la frase del pontefice ha riaperto la questione sulla corsa agli armamenti. Non ho usato casualmente la parola “corsa”, perché possiamo essere certi che il riarmo sia una realtà. Come possiamo essere certi che esiste una sincera paura di una guerra atomica, una paura che ci portiamo dietro dal 6 agosto ’45. Quello su cui siamo meno certi è se ci troviamo o meno in una situazione di «limite». A pochi giorni dalla partenza del Papa un’altra rivelazione ha riaperto la delicata questione dell’atomo militare. Come segnalato nel Dispaccio #00 l’Huffington post ha pubblicato una delle prime bozze della Nuclear Posture Review (NPR), il documento che spiega l’orientamento degli Stati Uniti in materia di deterrenza atomica. Il dipartimento della Difesa si è rifiutato di commentarne i contenuti limitandosi a dire che si tratta solo di una bozza e che il documento finale verrà presentato tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Ovviamente quando ci sarà la NPR definitiva ci torneremo, ma nel leak ci sono già diverse indicazioni su dove vuole andare l’amministrazione di Donald Trump.

La NPR è stato ufficialmente chiesta dal neo presidente, a ridosso del suo insediamento, al segretario della Difesa Jim Mattis. Si tratta di un aggiornamento importante dato che l’ultimo documento in tal senso risaliva al 2010 quando alla Casa Bianca c’era Barack Obama. Queste nuove linee guida sono state spinte con forza da Trump nei mesi scorsi, a colpi di tweet e interviste muscolari. Il 22 dicembre 2016 aveva cinguettato che «Gli Stati Uniti devono rinforzare e ampliare il proprio potenziale nucleare finché il mondo non rinsavisce riguardo le testate nucleari». Non solo. Un paio di settimane dopo in un’intervista alla Reuters aveva confermato: «Se i vari Paesi avranno armi nucleari, noi dobbiamo essere i primi del branco». A una prima lettura pare proprio che “l’atteggiamento nucleare” andrà nella direzione indicata dal tycoon. Ma cosa c’è dentro?

La ratio di un ritorno all’atomo

«Quello che la posture review mostra chiaramente», ha scritto l’Huffpost, «è che l’amministrazione Trump vuole produrre un numero considerevole di nuove testate». Con “nuove” si intende delle testate “low-yield”, a basso potenziale. Ma non solo. Prima di capire in che senso Trump vuole aumentare le testate, è necessario comprendere perché il documento marca una nuova e consistente inversione di rotta rispetto a quanto fatto dai predecessori, sia Barack Obama che George W. Bush.

La logica dietro allo sviluppo di “mini-testate” è che l’attuale arsenale sarebbe troppo grande e troppo mortale per indurre i nemici a pensare che Washington sarebbe disposto ad utilizzarlo. Nella bozza si legge che la nuova strategia si è resa necessaria per il «deterioramento di quelle precedenti». Nella mente di chi ha concepito il documento è ben chiaro che con deterrenza si intende la contrapposizioni con altri attori, in particolare la Russia e la Cina. «Mentre gli Stati Uniti hanno continuato a ridurre il numero e l’importanza delle armi nucleari, altri, inclusi Russia e Cina, si sono mossi in direzione opposta», si legge ancora nel fascicolo nucleare. Un rudimentale schemino contenuto nella NPR mostra come Mosca, Pechino e Pyongyang abbiano modernizzato i sistemi di “consegna” degli ordigni in modo molto più massiccio rispetto a Washington. Cosa che però non è del tutto vera come vedremo tra poco.

Diversi analisti hanno riservato a questa posizione non poche critiche. Anche a partire da una considerazione di fondo pubblicata nel documento, ovvero che la scelta di includere testate più piccole, non avrebbe favorito l’abbassamento della soglia di utilizzo delle armi nucleari. In realtà a ben vedere questa pare una contraddizione di fondo, come messo in luce da un editoriale del New York Times. Se adotto testate a basso potenziale perché quelle che ho sono troppo potenti e nessuno crede che alla fine io possa usarle, ma allo stesso tempo affermo che non ci sarà un abbassamento della soglia di utilizzo degli armamenti atomici, sto dicendo che non sussiste una differenza tra “mini-testate” e testate vere e proprie. Non bastasse questo, il documento non menziona mai la potenza distruttiva dell’ordigno. In questo senso le due bombe che distrussero Hiroshima e Nagasaki possono essere considerate “low yield” se comparate con quelle in dotazione attualmente.

Ma la bozza presenta anche altre carenze. In primo luogo, i riferimenti all’aspetto diplomatico sono quasi del tutto assenti, fatta eccezione per un pugno di righe, ma a preoccupare sono anche gli scarsi riferimenti all’articolo 6 del trattato Onu sulla non proliferazione. Nello stesso solco scarsi sono anche i riferimenti al “Comprehensive Nuclear Test-Ban Treaty”, un accordo firmato nel 1996 che mirava a bandire i test atomici. Nella bozza legge che gli Usa si impegnano a non effettuare test «a meno che non sia necessario». Ma l’aspetto più inquietante riguarda il possibile uso pratico del deterrente nucleare. Obama aveva specificato in più di un’occasione che l’atomica sarebbe stata usata solo in «circostanze estreme» e soprattutto mai contro paesi non nucleari. La dottrina Trump invece ha ribaltato il concetto al punto che le armi potrebbero essere usate anche in risposta a «significativi attacchi strategici non-nucleari», come a dire che Washington potrebbe usare l’atomica per rispondere a un attacco chimico, biologico o addirittura cibernetico.

Come cambia l’arsenale

Scendendo più nello specifico, nella bozza si legge che sarebbero due le testate al vaglio del dipartimento della Difesa. Un SLBM, un missile balistico trasportato dai sommergibili atomici (gli SSBN), a basso potenziale che «assicuri una riposta rapida in grado di penetrare le difese avversarie». E un nuovo SLCM, un missile da crociera da installare sempre sui sottomarini. Quest’ultimo armamento rappresenta una netta virata rispetto alla NPR del 2010 che aveva accantonato il suo sviluppo. Jon Wolfsthal, che è stato assistente speciale del presidente Obama per il controllo delle armi e la non proliferazione, ha mostrato tutto il suo scetticismo, non tanto e non solo per le criticità che abbiamo già esposto, ma anche per il rischio che correrebbero i sommergibili. Il ragionamento di Wolfsthal è che fornire i sommergibili con armi a basso potenziale, e con una gittata intermedia, li esporrebbe troppo. Subito dopo il lancio del missile verrebbero individuati e data la vicinanza con l’obiettivo potrebbero essere colpiti. «Spendiamo 5 miliardi di dollari a sottomarino per agire in modo invisibile, lo dotiamo di diverse testate per poi sparare un solo missile a basso potenziale. Il che renderebbe un mezzo così prezioso vulnerabile», ha raccontato al Guardian.

Vien da sé che questa marcia indietro rischia di scatenare una corsa agli armamenti ancora più agguerrita, con conseguenze preoccupanti. Quando meno sul piano della soglia di utilizzo. Se paradossalmente la nuova frontiera diventa quella della miniaturizzazione, il nuovo obiettivo dei paesi con armamenti atomici sarebbe quello di dotarsi di quelle tecnologie con un conseguente riarmo generale.

Il documento però prende in considerazione per la prima volta anche un altro aspetto dell’impianto nucleare americano, ovvero un aggiornamento del “nuclear command, control, and communications network”, noto come NC3. «Gli Stati Uniti devono avere un NC3 che permette il controllo dell’arsenale in ogni momento, anche sotto l’enorme stress di un attacco nucleare», si legge ancora nella bozza. Sempre secondo il documento, il network di comunicazione non è stato aggiornato da almeno tre decadi, mentre addirittura «rimangono in servizio» alcune parti del network che risalgono agli anni ’60. In realtà, nonostante le critiche apparse nel fascicolo, il sistema ha subito un importante aggiornamento e nel 2015 un rapporto del General Accountability Office, la sezione investigativa del Congresso, ha rilevato che sono stati fatti diversi passi avanti anche se non del tutto. Ad esempio esistono ancora carenze sui terminali satellitari di comunicazione per la guida dei bombardieri strategici.

Un riarmo che parte da lontano

In realtà anche nel documento voluto da Obama si scriveva nero su bianco che gli armamenti nucleari rimanevano uno degli aspetti strategici della Difesa. E per questo si prevedeva il rinnovamento degli arsenali. Come mi ha raccontato Paolo Foradori, docente dell’Università degli Studi di Trento, per Pagina99 qualche mese fa. Gli americani stanno lavorando per rinnovare tutto il parco atomico, come è stato dimostrato in diverse edizioni del Bulletin of the Atomic Scientists.

Per quello che riguarda i vettori posti nei silos, gli ICBM, nel 2013 è iniziato il processo di rinnovamento di 693 spolette. Allo stesso tempo è stata estesa fino al 2030 la vita dei missili che li trasportano, i Minuteman III. Un altro degli obiettivi è quello di lanciare un nuovo vettore che sostituisca i Minuteman III tra il 2028 e 2035, attraverso il programma noto come GBSD (ground-based strategy deterrent). L’obiettivo è quello di avere 666 nuovi vettori, 400 dei quali da dispiegare in circa 450 siti. Un altro progetto prevede la creazione di una testata interoperabile che possa essere installata sia sugli ICBN che sugli SLBM nei sommergibili. E proprio a conferma di quanto scritto sopra, la partita più importante si gioca sotto i mari. Al momento la flotta conta 14 sottomarini nucleari classe Ohio, otto attivi nel Pacifico e sei nell’Atlantico, anche se quelli operativi sono una decina. Nel 2017 è stato ultimato il programma di ammodernamento dei Trident II, gli SLBN. Ogni sommergibile ne imbarca 20 per un totale di 100 testate. Nei piani gli Ohio verranno sostituiti dal 2020 da una nuova classe di sottomarini, i Columbia. Questi ultimi dal 2030 verranno armati con un nuovo vettore e – a questo punto è lecito pensare – anche con le nuove “mini-testate” e forse con SLCM. Novità in vista anche per la “gamba” aerea. Al momento 60 bombardieri sono armati con bombe e vettori nucleari. Sempre nel 2030 dovrebbe entrare in servizio un nuovo missile che dovrebbe chiamarsi LRSO. Non solo. Dopo il 2020 entrerà in servizio anche il nuovo bombardiere B-21 Raider che nei piani rimpiazzerà i B-52H and B-1B tra il 2030 e 2040, mentre il B-2 Spirit rimarrà in servizio fino al 2050.

I costi: oltre un triliardo in trent’anni

Un ammodernamento di queste proporzioni ha dei costi non indifferenti. Un calcolo del Cbo, l’ufficio congressuale per la valutazione dei costi, ha stimato che la spesa per i prossimi 30 anni dovrebbe aggirarsi intorno agli 1,2 trilioni di dollari, quasi 40 miliardi di dollari l’anno. La valutazione del Cbo però è stata presentata alla fine dello scorso anno e riguarda il periodo 2017-2046, quindi non prende in considerazione le indicazioni della nuova NPR che potrebbe far lievitare ancora la cifra da sborsare. Va anche detto che a frenare gli appetiti del dipartimento della Difesa c’ha pensato soprattutto il Congresso. Wolfsthal in un’altra intervista al Washington Post ha spiegato che il parlamento in passato non ha autorizzato lo sviluppo delle testare sottomarine soprattutto perché non erano chiare le possibili reazioni della Russia ad eventuali attacchi.

Dal “limite” alla “soglia di rischio”

Eravamo partiti chiedendoci se eravamo ai «limiti» di una guerra nucleare. Il riammodernamento dell’arsenale americano iniziato con Obama potrebbe ricevere nuovo impulso con la NPR di marca Trumpiana. Ma questo fenomeno si inserisce in un panorama più complesso di cui fa parte la Russia, sulla quale torneremo con uno speciale nei prossimi mesi, e la Cina. Probabilmente parlare di “limite” è sbagliato. Il concetto che forse sarebbe meglio utilizzare è quello di “soglia di rischio”. Quello che può succedere, almeno nel breve periodo, non è tanto uno scivolamento verso una guerra, quanto una scintilla verso un eventuale conflitto, quasi più per un incidente che per un atto deliberato. Ci sono due episodi che descrivono bene questo contesto. Il primo riguarda l’incidente avvenuto nell’aprile scorso in Corea del Nord, ben raccontato da The Diplomat. Un missile lanciato nel corso di un test missilistico è precipitato in un centro abitato nel nord del Paese. Una simile situazione se non chiara potrebbe dare inizio ad una escalation. Immaginiamo ad esempio che uno dei tanti test lanciati nel Mar del Giappone fosse finito nell’isola di Hokkaido. Sì la testata era priva di esplosivo ma questo avrebbe fatto credere a Tokyo di essere stata colpita con un attacco deliberato innescando una risposta del Giappone e degli alleati, con un attacco verso Pyongyang e conseguente controrisposta, magari verso i civili di Seul.

Analogamente hanno destato preoccupazione anche le recenti manovre NATO che stanno avvenendo in Estonia. Il 18 gennaio dei bombardieri strategici B-52 hanno iniziato delle esercitazioni nella piccola repubblica baltica. Le operazioni, programmate da tempo, prevedono lo sganciamento di bombe a caduta, prime di esplosivo, in un’area prestabilita per le esercitazioni, sotto la supervisione dell’esercito estone e di tecnici americani. Anche qui, immaginiamo per un momento cosa accadrebbe se, per una qualsiasi ragione (magari per interferenze radio o per operazioni di hacking), le coordinate dello sgancio fossero sbagliate e colpissero anche solo la linea del confine con la Russia. La risposta di Mosca sarebbe immediata, con il rischio di un conflitto violento alle porte dell’Europa.  Ecco quindi che la soglia di rischio resta alta anche solo per possibili errori o incidenti, che alla fine possono pesare molto più di un tweet muscolare.