Il 20 gennaio la Turchia ha mosso guerra alla Siria, per la seconda volta nel giro di un anno. Più precisamente Ankara ha dato il via alla cosiddetta “Operazione ramoscello d’ulivo”. Un nome che nasconde un massiccio attacco nella zona Nord Occidentale del Paese, contro la regione autonoma di Afrin. La mossa di Erdogan ha gettato nuova benzina sul fuoco del conflitto siriano che quest’anno è entrato nel suo settimo anno. Questa “nuova guerra nella guerra”, ad uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare solo un altro paragrafo del conflitto, una pagina regionale, che ha poco a che fare con il quadro generale che ormai ai più appare sbiadito e indistinto. In realtà l’operazione ramoscello d’ulivo è l’esatta rappresentazione di quanto visto in Siria negli ultimi sei anni. All’interno di questa guerra, che è stata anche ribattezzata “Secondo conflitto siriano”, ci sono tutti gli elementi tipici di quello che è stato il Paese mediorientale dalle Primavere arabe in poi. Osservare e capire quello che succede, anche sul terreno, permette di comprendere come funzionano una serie di fenomeni. Dalla proxy war, alla capacità della Russia di essere ancora ago della bilancia e all’ambiguità americana che rischia di sfociare in situazioni paradossali per cui due dei suoi alleati si fanno la guerra. Ma prima di capire quali saranno le conseguenze di questo nuovo “mini-conflitto” è meglio andare con ordine.
(Per ricevere i prossimi numeri di Charlie🎖 puoi iscriverti qui: newsletter.albertobellotto.eu)
No Comments